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LE COSTELLAZIONI



Accade sempre.
C'è un'ora della notte in cui qualcosa cambia. Lo avverti perchè una inquietudine strana ti si rigira dentro lo stomaco, ti avvolge come un panno bagnato.
E' l'ora tardissima in cui latrano i cani e le costellazioni si adagiano sull'orizzonte, sghembe, irreali, contorte e spaventose, orribili squarci sull'oceano sidereo verticale che sovrasta le cose e le mangia mentre sono ancora vive col suo silenzio ferale.
Le stelle lambiscono la linea d'ombra della Terra e si allargano come impossibili quadri di De Chirico, cariche di presagi e insinuazioni sul tuo lontano avvenire; ti si dimostrano quali non erano.
Fino a un istante prima, poco fa, erano solo asterismi ben conosciuti, disegni antichi e pristine visioni di popoli ancestrali, in fondo innocue manifestazioni dell'animo umano che è portato, si dice, a vedere forme a noi note nelle meteore che si configurano in cielo; ora non più.
Mentre chiudi il telescopio e volgi al ritorno, verso casa, verso l'ambito letto e il caldo dell'appartamento dove la moglie la compagna o forse solo il cane attendono dormienti, ti fermi un attimo sul ciglio della strada, apri lo sportello e spegni il motore. Tanto basta. Nell'oscurità seppiacea della notte osi volgere lo sguardo in alto, appannando te stesso col fiato tuo, annaspando per cogliere una differenza, percependo forse che qualcosa non va. Infatti così è.
Le costellazioni sono cambiate: sono adesso tutte storte, sdraiate di lato sull'orizzonte cupo e cinereo della campagna, come infami e affamate chimere, atri mostri dipinti da manieristi medievali; costeggiano la mezzeria tra terra e cosmo lambendola con palpitanti aneliti e sinistri scintillii, dicono molto di te e di ciò che ti aspetta, un giorno, nel supremo approdo che arriverà, molto dopo il tuo arrivo a casa, quando morirai. Un'epoca di cui ancora non conosci il sapore, che non puoi concepire neanche nei tuoi sogni più selvaggi.
Irriconoscibili, sono diventate quadrilateri, rombi, poligoni atroci, linee spezzate che procedono a zigzag come denti affilatissimi e mortali, forse spade infrante di catafratti sconfitti, forse postiglioni muti le cui mura attendono viaggiatori incauti e stanchi.
A nulla vale conoscere gli antichi nomi arabi di quelle stelle: Alpheratz, Ruchbah, Hatysa, Jabbah, Menkalinan, a nulla serve norminarli a voce alta nella notte, come un salvifico canto, per scacciare gli acuti pensieri e invalidarne i demoni, le tremebonde ansie che la vista discopre al cuore; è vano sciorinare questa sapienza, puerile sperare che il mantra recitato frettolosamente allontani l'incantesimo turbatore; eppure, in qualche modo che ancora non si conosce, le costellazioni a tarda notte ci attraggono, ci tirano a sé come creature paniche guatanti da oltre le fronde, ammaliatrici e maligne. Sono trafitture di stiletti, ferite di misericordie orchestrate di siderea luce e più: d'ombra. In quanto l'ombra si sa, colpisce e uccide più della luce, è assenza di luce, presenza d'altro.
Si riesce, non si sa come, a rimettersi in viaggio, riprendere la direzione perduta, districarsi tra le polverose mulattiere e infine allineare la prua sulla direzione presunta del porto casalingo.
In qualche modo si capisce che per ora si è salvi, che la magnifica e turbatrice visione che ci ghermiva, finalmente ci ha lasciato andare; non già perchè sconfitta o piuttosto magnanima: forse solo paziente. Sa che torneremo a venturarci nel vuoto, a osare ancora (quale affronto, quale offesa agli Dei notturni) muovere i nostri legni e i pesanti specchi verso gli astri, alzare il mento all'infinito, dirigere le enormi specole in essudanti fatiche mirmecee verso la volta protagorea del cielo, in una spastica e inutile spedizione dello sguardo verso le recessità silenti dell'empireo.
Sanno, le costellazioni, che quando lo faremo, noi torneremo alla fonte, a confrontarci col vuoto, con quello che siamo: il lampo nottìluco e abbagliante di un pesce che guizzi saltando dall'acqua marina, la luce di Sirio specchiata per un istante dentro una pozza d'acqua notturna.  Che tanto dura la vita.
Torneremo. E come amiche sorridenti nel buio le costellazioni ci accoglieranno, consce del segreto supremo, a noi precluso, che hanno trattenuto per così tanto tempo, e che forse non comunicheranno mai; concedendoci come lascito ultimo -per lo più- di giocare nel nostro cortile d'universo per qualche ora ancora, tra sguardi e risate, nei pomeriggi assolati dell'estate.

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